- A novembre 2009 Libero pubblica un’intervista con Philip Roth in cui, tra
le altre cose, il romanziere americano si dice molto deluso da Barack Obama.
Libero sottolinea molto questa opinione, che viene ripresa in un commento
sarcastico contro la sinistra italiana che invece crede ancora a Obama anche dal
Corriere della Sera. L’intervista è firmata “Tommaso Debenedetti”.
- Alla
fine di febbraio 2010, il Venerdì pubblica un’intervista a Philip Roth di Paola
Zanuttini, che a un certo punto chiede allo scrittore conferma di quei suoi
giudizi offerti a Libero. Roth cade dalle nuvole e nega di aver mai dato
quell’intervista.
- Mentre la clamorosa smentita conosce una grande
diffusione e discussione sulla rete italiana, è il New Yorker a appassionarsene
giornalisticamente. Rapidamente, una giornalista americana scopre che l’autore
dell’intervista, Tommaso Debenedetti, ha pubblicato negli anni su diversi
giornali italiani moltissime interviste a scrittori importantissimi: i quali,
interpellati, negano tutti di avergli mai parlato.
- La stessa giornalista
arriva poi a parlare con Debenedetti, scopre che è nipote del grande critico
letterario Giacomo Debenedetti, e ne riceve conferma che le interviste sarebbero
vere e che gli interessati le negherebbero per paura di averle dette troppo
grosse.
- La storia arriva sui quotidiani italiani (ma anche
internazionali), che ne scrivono diffusamente. Qualcuno ricostruisce che un
precedente falso di Debenedetti era già stato svelato, ma senza che questo
mettesse alcuna redazione sull’avviso. A un certo punto circola voce che
Debenedetti – che in rete comincia a dividere i giudizi: giornalista cialtrone o
genio della truffa? – voglia querelare Roth.
La storia è quantomeno curiosa, un po' per la facile falsificabilità delle notizie (o la scarsa verifica delle fonti) e un po' per il labile confine fra verità e menzogna. Insomma una notizia è vera quando è verificabile in quanto tale o quando viene semplicemente data?
Poi leggo l'intervista al giornalista in questione. Il quale conferma si tratti di interviste inventate. Il cerchio si chiuderebbe qualora, come un lettore scrive nei commenti, si scoprisse che questa intervista sulle interviste false fosse a sua volta falsa. Il che sarebbe meraviglioso andando a creare uno di quei cortocircuiti che a noi filosofi piacciono molto.
Rimane il dubbio: giornalista cialtrone o genio della truffa? Personalmente propendo decisamente per la prima (e sarebbe bello sentire il parere dell'albo dei giornalisti). Tuttavia rimane che il problema emerso è particolarmente interessante: quante notizie che leggiamo sui giornali sono nella migliore delle ipotesi delle non-notizie o nella peggiore completamente inventate?
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